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(Vincenzo Notaro: un salto nell'openess di Pietro Turco)
Qualche esempio può chiarire questo decisivo passo: negli anni '70, Pietro Turco fece girare in tutto il mondo una cartolina in cui era scritta, a mo’ di beffarda lettera minatoria, una frase di grande precisione e sottigliezza: «l’autonomia di un’artista sopravvive solo nell’anonimato e nella inverificabilità della sua espressione»;
ancora va ricordata l'opera che Turco inviò incompleta, con l'emblematico spazio vuoto e il testo «questo spazio è tuo!», a tutto il suo indirizzario, ricevendone in cambio decine e decine di opere partecipate, in cui si poteva già parlare di coautorialità. Ma ci sono altri esempi estremamente interessanti, come la lettera contenente un piccolissimo talloncino nel quale si legge «l’arte è potenza non atto». E su queste parole «l’arte è potenza non atto» vale la pena di focalizzarci pensando al mutamento epocale avvenuto tra gli anni '70 e '90, quando la posta diviene telefonia mobile e posta elettronica, la musica passa dal supporto ottico all’mp3, l’immagine dalla tela ai formati digitali come il *.jpg, in un processo di riduzione della misura informativa direttamente proporzionale alla selezione delle informazioni necessarie. È con questo processo che l’arte si fa sempre più invisibile. Impalpabile. Ma se nella MailArt l’oggetto era ancora presente, per quanto ridotto a un talloncino o a una cartolina, ciò che Turco scriveva circa la "potenza" dell’opera oggi si è avverato ed è incontrollabile. In questa via crucis che parte dall’oggetto per giungere al file, assistiamo non solo alla smaterializzazione degli oggetti culturali ma soprattutto alla depersonalizzazione degli autori.
Ed ecco che l'autore non si fa più portatore di una protesta, di un messaggio, di un concetto, ma genera opere puramente estetiche, genera immagini pure: Turco, oggi, è un digital painter, reputando superata l’esperienza della MailArt
, si è spinto dal concetto alla sua estetizzazione radicale (e quindi immateriale, digitale), in certi casi fino a un feticismo lirico." Appunto la serie dedicata all’organo Hammond viene così interpretata da Paolo Veronesi: «Sì, è feticismo che carezza un centimetro quadrato di bachelite e ne fa un mondo».
Quel mondo è un mondo immateriale dove non vige più alcuna regola corporea, un mondo che viene reso oggetto on-
Ma basterebbe soffermarsi sull'origine dell'informatica per capire che gli esiti della pittura digitale vanno totalmente altrove rispetto alla pittura convenzionale: se alla base dell'informatica vi è il concetto di "archiviazione" delle informazioni, il processo di generazione di un colore corrisponderà all'inserimento di un valore numerico in una tavolazza virtuale, con conseguente archiviazione di profili, colori specifici da poter riutilizzare pari pari all'infinito, azioni registrate da poter gestire secondo il criterio della malleabilità, fino a generare infinite possibili versioni differenti dello stesso file. Tutto questo rende l'approccio all'opera decisamente analitico e non più banalmente emotivo. Il mito dell'artista impulsivo, che dipinge di getto, di gesto, muore insieme al pennello. Un'artista oggi non può più pensare di dipingere gestualmente, è un folle che oltrepassa il limite e non sa più tornare indietro. Ma l'arte non è solo oltrepassare il limite, è anche sapere tornare indietro, rendere reversibile la propria azione, rendere malleabile la propria opera. Occorre sapere andare e sapere tornare. Questo è ciò che accade generalmente con l'arte concettuale, e ovviamente anche con l'arte digitale che ne è una estremizzazione: l'artista diviene genio analitico.
Di fatto, quella di Pietro Turco è un'arte spinta concettualmente, al di là del concetto stesso, verso la sua analitica estetizzazione. È un processo che valica il concetto di serialità della PopArt, ossia la possibilità di usare la stessa idea, e non più duplicandola industrialmente migliaia di volte, bensì modificandola potenzialmente all'infinito, creandone versioni derivate, sempre diverse, sempre uniche. Esempio meravigliosamente riuscito di tale concetto sono tutte le opere delle Labbra,
declinate in mutazioni cromatiche, sempre aperte a un ulteriore modifica. Un'opera di chiara ispirazione pop, ma figlia di un procedimento di produzione di originali derivati e non di multipli industriali. L'opera di Turco è costantemente in progress, derivata di se stessa, svincolata da se stessa, autonoma. E, paradossalmente, più è autonoma l'opera più si invera quell'inverificabile autonomia dell'artista di l'artista parlava al tempo delle mail. Un'opera sempre aperta, dunque, capace di intuire quei segnali di cambiamento che fanno vibrare l'aria, capace di produrre un'apertura nello spazio cognitivo, attraverso la quale intuiamo che probabilmente il prossimo cambiamento a venire sarà proprio la definitiva openess della mente umana.